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Gunter Pauli: l’essenza dell’imprenditoria sostenibile

Gunter Pauli
Gunter Pauli

Lo chiamano lo Steve Jobs della sostenibilità. Durante il CC Forum: Investment in Sustainable Development di Monaco, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Gunter Pauli, un imprenditore sostenibile con mille idee e poggetti. Abbiamo parlato di didattica digitale, del perché le sue idee siano accettate più facilmente in Asia e di come le mangrovie possano essere essenziali per fermare gli tsunami.

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Dopo uno dei suoi interventi al CC Forum di Monaco, abbiamo avuto l’occasione di incontrare Gunter Pauli. Con la sua giacca bavarese, offriva le barrette di caffè commestibili, una sua invenzione, a chiunque gli passasse vicino. La barretta, ci racconta, utilizza l’intera bacca della pianta del caffè, sia la polpa che il chicco, eliminando così gli sprechi prodotti con il caffè in polvere, per cui si utilizzano solo i chicchi. “Una barretta è l’equivalente di due caffè espresso. Il contadino guadagna di più perché vende il frutto per intero e noi utilizziamo meno acqua”, ci spiega.

“Parlo soltanto degli obiettivi che ho raggiunto, mai di quello che ho intenzione di fare”

Pauli ci racconta dei suoi tanti progetti come fossero aneddoti interessanti di cui è appena venuto a conoscenza. Ma andando più a fondo e superando il tono scanzonato, si riesce subito a cogliere lo sforzo titanico che si cela dietro il suo lavoro: Gunter Pauli ha fondato e diretto oltre 10 aziende, tra cui la prima fabbrica sostenibile del Belgio. Ha, inoltre, fondato ZERI – Zero Emission Research Initiative, il centro di ricerca emissioni zero all’Università delle Nazioni Unite a Tokyo, e la rete internazionale ZERI, una fondazione che ha l’obiettivo di creare nuovi processi produttivi ispirati ai sistemi della natura. Ma non finisce qui, è anche la mente che si cela dietro la Blue Economy, una community open source in cui condividere idee innovative.

“Parlo soltanto degli obiettivi che ho raggiunto, mai di quello che ho intenzione di fare”, confessa, mostrando l’animo del vero creatore e uno spirito ottimista che crede che tutto sia possibile, senza quella soverchiante sete di denaro. “Non amo l’approccio americano basato solo sui soldi”, afferma. “Sono più interessato alla nuova generazione di imprenditori che sta emergendo, i cosiddetti imprenditori per il bene comune”.

Mangrovie, gamberi e tsunami

Pauli è impaziente di parlarci di un progetto sulle mangrovie a cui sta lavorando in Indonesia. “Stiamo rigenerando le mangrovie in massa. Le abbiamo avvolte attorno a delle reti di metallo in modo che i gamberi più piccoli possano entrare, ma una volta cresciuti non possano più uscire, creando così un allevamento naturale”, ci racconta. “Le radici delle mangrovie diventano sempre più robuste con il tempo e nell’arco di dieci anni resistono anche a uno tsunami”, spiega Pauli.

Per quanto i suoi progetti passano essere rivoluzionari, in Europa non hanno avuto una particolare presa. “L’Asia ha avuto un’esplosione immensa nella crescita della popolazione, portando alla formazione di città enormi e a un inquinamento sostanziale… la qualità della vita lascia a desiderare”, è così che risponde quando gli chiediamo perché il suo lavoro viene apprezzato maggiormente all’estero. “Chi cresce in queste condizioni non ha come primo scopo nella vita quello di diventare ricco, come nel caso di un imprenditore americano, piuttosto pensano a come poter aiutare le loro comunità”.

“In Europa, ci sono troppe normative, troppe lobby che non vogliono dare spazio alle nuove tecnologie. Prendi Internet li-fi per esempio, è stato inventato in Francia ma adesso arriva dalla Cina”. E noi subiamo una grossa perdita. “L’Europa ha tantissime invenzioni fantastiche, ma si dimentica di trasformarle in un business model. Abbiamo creato una bolla di fiducia in noi stessi. Non ci siamo spinti abbastanza oltre. Ci siamo accontentati con molto poco”.

Didattica digitale: “La situazione è disastrosa. Rallenta il nostro cervello”

Quando accenniamo al coronavirus, c’è un argomento che sembra toccarlo particolarmente: il tempo che passiamo davanti a uno schermo. “Abbiamo costretto i bambini a guardare uno schermo. Lo schermo è in 2D ma il nostro mondo è in 3D. Imparare in 2D ha un impatto sulle nostre capacità cognitive. La situazione, dal punto di vista cognitivo, è un disastro. Sta rallentando il nostro cervello”, spiega Pauli. Ma la pandemia è solo la punta dell’iceberg: “Sappiamo che gli schermi dei computer emanano troppa luce blu e che questa luce blu fa spegnere il cervello. Siamo esponenzialmente meno connessi a livello neuronale con il nostro ambiente. Nonostante ciò, non facciamo niente a riguardo,” afferma Pauli.

Dalla protezione alla rigenerazione degli oceani

Il Fairmont Hotel a Monte-Carlo, dove si è tenuta la conferenza, offre una vista sul mare a quasi 180°. È così che ci ritroviamo a parlare di Monaco e della protezione dell’oceano. “Monaco è uno stato in miniatura”, afferma Pauli, “e in quanto stato in miniatura, dovrebbe essere leader. Mi piace immaginare una Monaco senza microplastiche. Dovremmo creare una sorta di tenda fatta di alghe, che permetterebbe comunque alle navi di passare”, ha detto.

“Dobbiamo creare delle zone senza microplastiche, e possiamo farlo con delle tende di alghe in grado di assorbirle, perché con tutta la spazzatura che buttiamo negli oceani non riusciremmo a ripulirli neanche tra un centinaio di anni”, aggiunge. E mentre l’impatto ambientale degli ultimi anni è scoraggiante, Pauli sembra non perdere mai la speranza, affermando che è tutta una questione di mentalità. “Dobbiamo passare dalla protezione alla rigenerazione. Stiamo perdendo la partita. Non dovremmo pensare a proteggere gli oceani, ma a come rigenerarli”, insiste.

Contributo di Francesca German

Traduzione a cura di Valentina Alia