Abbiamo incontrato Alessandra Tognoloni, solista dei Balletti di Monte Carlo, per parlare della genialità del coreografo Jean-Christophe Maillot, della pandemia, e di cosa fare perché l’arte sia più apprezzata.
Nata a Gubbio, da piccola Alessandra Tognoloni voleva fare l’archeologa. “Adoravo i documentari sull’antichità e trovavo l’idea di lavorare con l’arte antica magica”, ricorda la ballerina. Alla danza ci arriva quasi per caso, dopo aver provato vari sport: “Credo di essermi sentita a casa dal primo momento”. La storia d’amore tra Alessandra Tognoloni e la danza classica non è stata un colpo di fulmine. “Non mi ricordo aver avuto mai un momento dove ho detto: “Mamma, io voglio fare la ballerina”. Mi sono resa conto che mi piaceva veramente quando, andando avanti, ho dovuto rinunciare a gite e uscite con le amiche per andare a danza. Ma per me non erano delle rinunce. Avevo tanta voglia di fare”, ci racconta.
Ero innamorata delle coreografie di Jean-Christophe Maillot
La voglia di fare non se n’è mai andata. Alessandra Tognoloni arriva a Monaco nel 2013 dopo 10 anni passati al Balletto di Stoccarda. Quando decide di lasciare la Germania, la ballerina si iscrive a un solo concorso, quello dei Balletti di Monte-Carlo: “Volevo solo Monte-Carlo. Ho pensato, o la va o la spacca”. Ormai da nove anni nella compagnia monegasca, Alessandra Tognoloni ha interpretato i ruoli principali dei balletti emblematici di Jean-Christophe Maillot quali Cenerentola, Lac, La bisbetica domata, Core Meu.
Perché questo desiderio di venire a Monte-Carlo?
È una compagnia unica perché viaggia tantissimo, molto di più di altre compagnie, e perché il direttore è un coreografo, quindi c’è anche uno scambio artistico e culturale. Ancor prima di venire, ero innamorata delle coreografie di Jean-Christophe. È stata un’esperienza molto diversa dalla Germania. Quando ero a Stoccarda non mi sentivo mai a casa, avevo veramente l’impressione di lavorare e non vedevo l’ora che arrivassero le vacanze per tornare in Italia. A Monaco è diverso. Mi sento a casa.
Ci parli di Jean-Christophe Maillot?
Jean-Christophe è molto esigente e molto umano al tempo stesso. Se hai un problema puoi andare a parlarne con lui. Poi, dal punto di vista coreografico, per me è un genio. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo. Mi ricordo Cenerentola, è stato il primo ruolo da protagonista nella compagnia, e quindi la prima volta che ho lavorato a stretto contatto con Jean-Christophe. Ho imparato tantissimo.
Che ruolo ha avuto Jean-Christophe Maillot nel suo modo di vedere la danza?
In un balletto Jean-Christophe vuole che tu viva veramente l’emozione che stai interpretando. Nei balletti classici si studia la pantomima che permette al ballerino di sapere quando deve essere triste o quando deve essere felice. È molto più teatrale. Invece, con Jean-Christophe è molto reale. In Germania imparavamo prima i passi e poi venivano le emozioni. Qui è completamente l’opposto. Impari il passo in base all’emozione che devi trasmettere. L’emozione e il passo sono una cosa unica.
Mi ha insegnato che non puoi fingere il sentimento perché non staresti solo fingendo con il pubblico ma staresti anche fingendo con te stessa e con la tua arte
Quado vai in scena, devi vivere veramente quello che balli. Jean-Christophe ci dice sempre che a lui non interessa se sbagliamo un passo o se cadiamo da una piroetta: sono cose tecniche che possono succedere. Quello che lui non accetta è che un ballerino non stia raccontando la storia al cento per cento. Mi ha insegnato che non puoi fingere il sentimento perché non staresti solo fingendo con il pubblico ma staresti anche fingendo con te stessa e con la tua arte.
La domanda da non porre: com’è andato il 2020?
È stato un anno veramente difficile, specialmente per noi ballerini. Non possiamo allenarci in casa perché abbiamo bisogno di spazio e di persone con cui ballare. Arrivi a un punto dove per il corpo non è facile. Hai alti e bassi. Siamo atleti, quindi quando lavoriamo, lavoriamo in vista di un obbiettivo. Abbiamo le prove per poi andare in scena. È molto difficile allenarsi non avendo più la prospettiva di quello che viene dopo.
Tutte le compagnie hanno fatto piccoli video per mostrare al pubblico che i ballerini continuavano ad allenarsi in casa. Jean-Christophe un giorno ci ha chiamati dicendoci: “Guardate ragazzi, non possiamo far credere che per noi vada bene fare la nostra lezioncina in casa”. Abbiamo quindi fatto un video alternativo che fa vedere che non è possibile per un ballerino lavorare in casa. Hai il cane che ti dà fastidio, il tavolo che s’impiccia… Detto questo, noi siamo comunque fortunati perché Monaco non ha mai messo la cultura da parte.
Le persone che non apprezzano il lavoro che faccio, sono persone che purtroppo non lo conoscono
Il gran dibattito ai tempi del coronavirus è se l’arte sia utile…
Non è una cosa utile ma è una cosa vitale. Perché, se togli l’arte, ti ritrovi una vita vuota. Se tu togli quello che c’è di artistico dietro a ogni cosa, non ti rimane niente – dalla maglia che indossi, alla cornice di un quadro. È vero, l’arte non è utile ma è essenziale.
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Ti senti apprezzata in quanto artista?
Sì. Credo che chiunque conosca, apprezzi. Se non sono apprezzata, è perché la persona non sa quanto sia difficile fare la ballerina o quanto un balletto possa emozionare. Le persone che non apprezzano il lavoro che faccio sono persone che purtroppo non lo conoscono. Bisogna fare in modo che l’arte sia più conosciuta, specialmente in Italia. Solo così sarà più apprezzata e potrà quindi scalare la piramide dei bisogni umani. L’istruzione ha un gran ruolo da giocare.
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