Manon Fleury e la sua filosofia gastronomica umana e sostenibile
Manon Fleury è il nuovo fiore all’occhiello del Principato: dalla fine di maggio 2021 guida le cucine del ristorante stellato Elsa di Monte Carlo. In questa intervista ci racconta i segreti della sua etica culinaria, ci parla del suo desiderio di rivoluzionare il settore e di cosa rende Monaco un contesto unico in cui lavorare.
A soli trent’anni, Manon Fleury è a capo di uno dei ristoranti di punta del panorama Monegasco. L’Elsa, la sua “oasi di pace” incastonata alla fine del litorale del Principato, si affaccia sul limpido mare di Roquebrune e propone una cucina biologica, locale e zero scarti. La Chef propone una filosofia inedita per la gastronomia monegasca che comporta l’utilizzo integrale del prodotto, dalla testa alla coda, dal frutto al nocciolo, dal fiore alla foglia.
Diplomata presso il prestigioso istituto parigino Ferrandi, Manon Fleury è arrivata a Monaco dopo un’esperienza negli Stati Uniti e un anno alla guida del ristorante parigino Le Mermoz. Vi proponiamo qui l’incontro con una donna che rivoluziona il mondo della cucina in modo discreto, ma, così come la sua cucina, anche sostenibile.
Le donne rappresentano meno del 10% degli chef. Percepisce di avere una sorta di responsabilità?
Sì ed è proprio per questo che è importante dare voce alle donne nel nostro settore, perché siamo meno rappresentate. L’aspetto manageriale, ad esempio, è cruciale a mio avviso. Attraverso il mio lavoro, voglio poter affermare che una donna può occupare una posizione di responsabilità e condurre, al contempo, una vita normale. Bisogna poter mostrare alle giovani che si affacciano al mondo della cucina che c’è possibilità di successo.
L’autorità arbitraria è stata la prassi in cucina per anni e ha trasmesso l’idea che le cucine siano un ambiente di stampo militare.
Qual è la sua etica culinaria?
Voglio che la brigata sia senta a suo agio. Ci sono tante cucine in cui l’ambiente è pessimo, dove i cuochi lavorano sopraffatti dalla paura, dallo stress e in cui ci sono molti giochi di potere. Ancora prima di affrontare la questione di genere, occorre cambiare il paradigma dei rapporti di forza in cucina.
Come?
Non bisogna ricorrere all’autorità arbitraria che è stata la prassi in cucina per anni e ha trasmesso l’idea che le cucine siano un ambiente di stampo militare (ride). Io mi impegno molto sulla comunicazione, cerco di mostrare alla brigata che anche noi chef possiamo sbagliare o essere in difficoltà. Voglio creare un clima di fiducia dove ognuno si senta in grado di migliorare. Mi piace essere una guida per i miei collaboratori, accompagnarli senza schiacciarli, anzi valorizzarli. Una delle più grandi soddisfazioni nel mio lavoro è proprio quella di vedere i miei cuochi fare progressi e assumersi nuove responsabilità.
Che segno del suo passaggio vuole lasciare a Monaco?
Proprio questo clima di fiducia.
Chi è la sua fonte di ispirazione?
Mi sono ispirata molto a Pascal Barbot, dell’Astrance di Parigi. È una persona che ha avuto la pazienza di spiegarmi questo mestiere e di trasmettermi una certa sensibilità. Penso che il problema in molte cucine è che si insegna in modo meccanico. Per me c’è un altro aspetto molto importante, ossia il fatto di considerare veramente il prodotto, quando lo si riceve la mattina, riflettere sulle proprie percezioni, pensare a come cucinarlo, e così via… La cucina richiede sensibilità ed è questa che cerco di trasmettere alla mia brigata.
I programmi televisivi non corrispondono alla realtà della professione.
Quando era adolescente praticava anche scherma a livello agonistico. Trova delle somiglianze tra questa disciplina e il suo lavoro?
Certo (ride). In entrambe le discipline l’adrenalina non manca e meno male! Mi affascina proprio la volontà di migliorarsi sempre, di essere la miglior versione di se stessi in un momento preciso. Il bello della cucina, in più, è che lo si fa per fare felici gli altri.
Continua a tirare di scherma?
Non più. In passato praticavo ad alti livelli e non penso di poter tollerare di rendere questo sport solo un hobby. È colpa del mio spirito competitivo, che tra l’altro è molto importante in cucina.
Senza dei validi produttori che fanno un lavoro incredibile dietro le quinte, il piatto non ha carattere, non racconta una storia.
…quindi vuol dire che la cucina, in fondo, è come uno sport competitivo?
Si e no. In cucina domina lo spirito di squadra. I programmi televisivi non corrispondono alla realtà della professione. Naturalmente c’è anche l’aspetto dello stress, perché bisogna far uscire 25-30 piatti in due ore e bisogna che arrivino in tavola caldi e buoni, ma non si fa nulla a discapito degli altri. La cucina resta uno sport di squadra.
Ci parli dei suoi fornitori biologici locali.
A mio avviso ciò che fa funzionare il ristorante e che ci permette di trasmettere una storia e un messaggio ai clienti è proprio il circolo virtuoso che c’è dietro. Senza dei validi produttori che fanno un lavoro incredibile dietro le quinte, il piatto non ha carattere, non racconta una storia. È vuoto, una cucina che parte dal nulla. Anzi, sono proprio i nostri produttori a dettare ciò che cucineremo. E per la nostra creatività è dieci volte meglio, perché ci viene già offerta una cornice. In questo momento ci sono fave, asparagi, ecc…e cuciniamo a partire da questi ingredienti.
Cosa le piace di Monaco?
Ritengo sia una grande fortuna avere una clientela così variegata. È interessante osservare come guardano la cucina persone di molteplici culture che si incontrano a Monaco. Recentemente, un cliente mi ha detto “è bello perché la sua cucina ha uno stile…” Non c’è complimento migliore di questo, avere uno stile a trent’anni è incredibile!
È davvero un bel complimento! I clienti monegaschi sono molto ben abituati grazie all’offerta locale, devono essere molto esigenti.
I nostri clienti vengono all’Elsa perché è un luogo appartato, un’oasi di pace lontana dal trambusto del centro di Monaco. E la nostra cucina rispecchia l’ambiente circostante: è leggera, non troppo complessa. Avrei proposto uno stile di cucina diverso se fossi stata, per esempio, à l’Hôtel Hermitage. Ci siamo adattati a questo contesto in riva al mare, che è fonte di ispirazione per le nostre creazioni, come lo sarebbe per la pittura o per la musica.
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