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Reportage

La lingua monegasca resta ancora in vita

lingua monegasca
J. Pérez Soriano (Pepetps)

Una tempo parlato in tutto il centro storico di Monaco, è ormai difficile, per non dire impossibile, sentire il monegasco tra le strade del Principato.

Parte integrante del patrimonio, la lingua monegasca sopravvive meglio che può agli invasori inglesi, italiani e francesi. Il recente annuncio dell’apprendimento obbligatorio per gli studenti fino alla terza media ha acceso un barlume di speranza negli amanti di questa lingua ormai messa da parte.

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Una generazione tagliata fuori

Per Claude Passet, segretario generale dell’Accademia delle lingue dialettali, la sfida sta ora nel “passare dall’uso scolastico a quello quotidiano”. Bisogna, quindi, creare un ponte tra la fine dell’apprendimento obbligatorio in terza media e gli altri anni di scuola.

“Oggi, ci saranno due studenti che hanno scelto di studiare monegasco fino al diploma.” Sono pochi, è vero, ma il numero è giustificato dalla predominanza della lingua inglese, utile sia in Europa che a Monaco. “In un paese che conta 139 nazionalità, dove ci sono tutte le lingue possibili, sembra difficile”.

Il monegasco, tra l’altro, è stato anche bandito per un certo periodo. Claude Passet, nato nel 1946, ricorda come ai suoi tempi fosse considerata una lingua “bastarda”. Questo pregiudizio, ha fatto sì che un’intera generazione fosse tagliata completamente fuori dall’apprendimento della lingua. Il risultato? Oggi, i nonni parlano monegasco, ma i genitori no.

Un gergo più che una lingua

Tuttavia, alcune parole vengono ancora utilizzate nel quotidiano e l’uso che si fa oggi del monegasco lo rende più simile a un gergo, che a una vera e propria lingua. Ecco alcuni esempi:

“Je cale à la plage” invece di “je descends à la plage” (“vado in spiaggia) “Oh tu as vu, il a sguié” invece di “il a glissé” (“è scivolato”) “Il est furbou” invece di “il est malin” (“è furbo”, nel senso buono del termine) “C’est un furbacciou” invece di “il est malin” (“è furbo”, nel senso brutto del termine).

Il monegasco è una lingua colorita e “molto diretta, ma non volgare”, afferma Claude Passet. “Ha questa capacità tipica del linguaggio popolare di chiamare le cose per quello che sono. Per esempio, per riferirci a un taccagno, diciamo che ha “un riccio in tasca”, oppure, la segreteria telefonica la chiamiamo “papagalu”, pappagallo.

Ma oltre a essere colorita, la lingua ha una cadenza più simile all’italiano. “Si nota il tono e senza l’intonazione della voce, se non si conosce la lingua, non ha nessun significato”. L’obiettivo è dunque quello d’invitare gli adulti nell’unico luogo in cui possono ancora apprendere il monegasco, l’Accademia.

Forse la ripresa dell’insegnamento obbligatorio farà nascere un nuovo interesse? È quello che speriamo”, conferma Claude Passet. Nel frattempo, l’Accademia delle lingue dialettali ha riaperto le porte agli studenti che vogliono imparare “a lenga d’i nostri avi“, la lingua dei nostri avi.

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