Arte, vino e nuove tecnologie, i business del miliardario Alexander Vik
Il residente monegasco sembra avere un istinto per gli affari, che si tratti di vino o di internet.
Lo scorso giugno si è conclusa, almeno per il momento, una lunga battaglia legale. La Corte Suprema del Regno Unito ha dato ragione al residente monegasco e imprenditore svedese-norvegese Alexander Vik nella sua battaglia contro Deutsche Bank.
A causa del periodo di prescrizione stabilito dal Limitation Act 1980, un importante atto legislativo britannico, Alexander Vik dovrà sì pagare gli interessi dovuti alla banca, ma solo per gli ultimi sei anni. Come sottolinea Landmark Chambers, questo è l’epilogo di una causa di dieci anni tra l’imprenditore e la banca.
Ma com’è nato il conflitto? Chi è Alexander Vik? Tracciamo il ritratto di un imprenditore che Forbes, nel 2014, ha definito “l’uomo più interessante del mondo… a patto che non vi debba dei soldi!”.
La bolla di internet
Nato a Stoccolma nel 1955, Alexander Vik ha trascorso la maggior parte della sua infanzia in Svezia, prima di proseguire gli studi nelle Isole Canarie e poi nella prestigiosa università americana di Harvard, dove si è distinto anche nel golf, vincendo diversi campionati.
Nato in una ricca famiglia di imprenditori e commercianti di pellicce, ha lavorato per un certo periodo a Wall Street, in particolare per la banca d’investimento Lehman Brothers, nota per il suo crollo nel 2008, che ha fatto precipitare la crisi dei subprime.
Ma Alexander Vik aveva lasciato quel lavoro molto tempo prima, per avviare le proprie transazioni immobiliari e lanciare una compagnia di assicurazioni.
Intuendo l’alto potenziale di Internet, negli anni ’90 Alexander Vik fonda la sua società Xcelera.com. È un grande successo: cavalcando l’onda della “bolla di Internet”, l’azienda deteneva il record del più alto incremento di valore in un solo anno. E a buon ragione: secondo la stampa, il valore è aumentato del 74.000%, raggiungendo i 113 miliardi di corone e superando quello di grandi aziende come Volvo.
Dopo aver venduto le sue quote della società, che poco dopo è fallita, Alexander Vik acquisisce diverse società e, soprattutto, crea il fondo di investimento Sebastian Holdings, che prende il nome del figlio, come riportato da Les Echos.
L’arte e il vino: il cuore della coppia Vik
La vita sembrava sorridere all’imprenditore svedese, che si riteneva già parecchio fortunato per essere sopravvissuto a una valanga nel 1997. Alexander Vik si stabilisce presto a Monaco con la moglie Carrie, conosciuta ad Harvard, e i loro quattro figli.
La coppia, appassionata di arte e vino, ha acquistato 4.400 ettari di terreno in Cile per trasformarli in una tenuta vinicola. Come hanno dichiarato a Monaco Life nel 2021, il loro obiettivo era quello di produrre il miglior vino del Sud America. “Il concept dei [nostri] vini biodinamici è la purezza, la sostenibilità, la qualità eccezionale, è fare tutto il possibile per permettere alle viti di produrre le uve migliori in modo naturale. Cristian Vallejo, il nostro meraviglioso enologo, aiuta questi frutti eccezionali a esprimersi naturalmente nel vino“, spiegarono all’epoca.
Anche questa volta il successo è clamoroso. Un articolo pubblicato dalla casa d’aste Sotheby’s rivela che nel 2022 Vik è stato nominato da William Reed Business Media il quarto miglior vigneto del mondo. Due anni prima, anche Wine Enthusiast l’aveva definita la “migliore esperienza enologica del mondo”.
I vigneti appartengono al piccolo gruppo alberghiero di lusso fondato dalla coppia: Vik Retreats. Ben sei hotel di charme vedono la luce tra Cile, Uruguay e Italia. Ogni camera è decorata con sontuose opere d’arte, accuratamente selezionate da Alexander e Carrie Vik, che possiedono anche una galleria d’arte a Milano. “Abbiamo incontrato quasi 200 artisti, che abbiamo conosciuto personalmente nei loro studi, abbiamo guardato tutti i loro lavori e parlato con loro. Non ci limitiamo a comprare arte, noi collaboriamo e creiamo l’arte“, ha spiegato Carrie Vik a Sotheby’s.
La crisi del 2008 non risparmia neanche Alexander Vik
Sfortunatamente per Alexander Vik, il fondo di investimento Sebastian Holdings si è preso trovato in difficoltà. Già nel 2008, durante la sopraccitata crisi dei subprime.
La società, registrata presso la Deutsche Bank, sembrava andare bene nei primi tempi. Tanto che, nel 2006, Alexander Vik cerca di acquistare il gruppo mediatico francese Vivendi per 36 miliardi di euro, come riportato da Libération all’epoca. Qualche tempo prima aveva già avvicinato Vincent Bolloré, come affermato da Les Echos, per assumere il controllo del gruppo Havas.
Ma due anni dopo, la crisi non ha risparmiato neanche la Sebastian Holdings. Secondo Forbes, Alexander Vik è stato addirittura portato al pronto soccorso dalla moglie, in preda a un’ansia ingestibile. E aveva una buona ragione: dopo aver ottenuto un prestito di 500 milioni di dollari da Deutsche Bank, il fondo d’investimento riceve diverse richieste di margine da parte della banca. I conti della Sebastian Holdings vengono svuotati, mentre la società deve ancora alla banca 244 milioni di dollari.
Un ulteriore problema, secondo Forbes, è stato che Alexander Vik, che possedeva il 100% della Sebastian Holdings, aveva trasferito fondi dalla sua società a conti offshore.
“Quando si è reso conto che [la Sebastian Holdings] aveva subito perdite per centinaia di milioni di dollari, e quando ha ricevuto imminenti richieste di margine dal suo broker di riferimento di Deutsche Bank, Vik ha usato il potere che aveva sulla [Sebastian Holdings] per privarla delle sue attività“, ha denunciato all’epoca Deutsche Bank.
Da parte sua, Alexander Vik si è difeso puntando il dito contro le richieste di margine considerate “inappropriate“. È così che ha avuto inizio una lunga battaglia legale tra l’imprenditore, con un patrimonio stimato da Forbes a un miliardo di dollari, e Deutsche Bank.
Un processo lungo 10 anni
Un primo processo presso il tribunale del Regno Unito ha inizio nel 2013 e dura 44 giorni. Secondo L’Agefi, la Sebastian Holdings ha accusato Deutsche Bank di aver emesso richieste di margine ingiustificate dopo il crollo di Lehman Brothers e di aver liquidato le attività del fondo speculativo, causando perdite fino a 8 miliardi di dollari.
Secondo quanto riportato da Landmark Chambers, è Deutsche Bank a vincere questa prima battaglia. Il tribunale non solo stabilisce che la richiesta di risarcimento non è fondata, ma ordina anche a Sebastian Holdings di pagare alla banca 285 milioni di sterline, compreso l’85% delle spese legali e un deposito di 32 milioni di sterline. Secondo Forbes, Alexander Vik è anche accusato di menzogna e disonestà durante il processo. Il giudice lo ha persino accusato di aver fabbricato delle prove.
Secondo quanto riportato da City A. M., Alexander Vik cerca di far revocare la sentenza, ma senza successo. Dieci anni dopo, la Corte d’Appello ha infatti confermato la sentenza originale, che Alexander Vik considerava troppo severa. “Il tribunale ha stabilito che Alexander Vik ha fornito consapevolmente false prove sul patrimonio della Sebastian Holdings e ha deliberatamente violato l’ordine del tribunale della non divulgazione di documenti su tale patrimonio, per evitare che la sentenza prevedesse il rimborso del debito nei nostri confronti. Continueremo a reclamare l’importo che ci deve“, ha commentato Deutsche Bank, come rivelato da Bloomberg.
Secondo Landmark Chambers, durante questo periodo le somme dovute da Alexander Vik a Deutsche Bank non sono mai state pagate.
Deutsche Bank avrebbe quindi ottenuto una condanna contro Alexander Vik nel 2014 e di nuovo nel 2016. Nel 2019, la banca avrebbe richiesto ulteriori danni per oltre 53 milioni di sterline.
Alla fine, lo scorso giugno la Corte Suprema si è pronunciata a favore di Alexander Vik. Vik si era rifiutato di pagare le oltre 700.000 sterline di interessi, una cifra ben inferiore ai milioni richiesti, sulla base dell’articolo 24(2) del Limitation Act 1980. L’articolo prevede che “nessun interesse arretrato relativo a un debito giudiziario può essere recuperato dopo la scadenza di sei anni dalla data in cui l’interesse è diventato esigibile“.
Questo nonostante le precedenti dichiarazioni, riportate da Forbes, fatte dell’uomo d’affari durante il processo a Londra: “Sono qui. Se ho fatto qualcosa di sbagliato, pagherò tutto quello che Vostro Onore deciderà. Non posso scappare. Se ho fatto qualcosa di sbagliato, me ne prenderò la responsabilità”.
Una decisione fortemente contestata da Deutsche Bank, che ha accusato Alexander Vik di aver deliberatamente trascinato il caso per non dover pagare, secondo quanto dice la legge, tutto il dovuto.
Un nuovo interesse: il Fintech
L’intera vicenda legale non ha impedito ad Alexander Vik di intraprendere altri progetti. Da sempre interessato alle nuove tecnologie, l’uomo d’affari ha investito ingenti somme in Fluid finance, un’applicazione finanziaria con sede in Svizzera che utilizza le criptovalute per facilitare l’invio di denaro.
In un’intervista del 2022 a Forbes Monaco, pubblicata integralmente su Medium.com, Alexander Vik ha spiegato: “L’idea è quella di consentire un trasferimento di denaro senza soluzione di continuità dal mondo reale a quello digitale sulla blockchain e viceversa, istantaneamente, ovunque nel mondo. Il tutto rimanendo sempre sotto il vostro controllo“.
Una nuova impresa, dunque, che sembrava partita sotto i migliori auspici. Ma il 12 giugno di quest’anno la rivista svizzera Bilan ha pubblicato questo articolo: “Una fintech ginevrina trascina con sé centinaia di risparmiatori e investitori”.
L’articolo parla proprio di Fluid, i cui utenti e investitori, tra cui Alexander Vik, avrebbero visto “bloccati i loro versamenti per diversi mesi, per un totale che ammonta a diversi milioni“. L’articolo prosegue affermando che il fondatore dell’applicazione, Robert Sharratt, un ex finanziere di Ginevra, è addirittura oggetto di un procedimento giudiziario da parte del Pubblico Ministero nonostante si dichiari innocente.
Lo scorso febbraio, il fondatore dell’applicazione ha pubblicato un video in cui annunciava alla sua community che i conti della società erano stati congelati “per ordine del tribunale“. Sono stati molti gli utenti a lamentarsi dei disagi, ma sono Alexander Vik e gli altri investitori ad aver subito le perdite più ingenti: la capitalizzazione di mercato dell’applicazione è scesa “da 60 a 2 milioni nel giro di poche ore, in seguito al crollo del prezzo del suo token“.
Contattato da Bilan, Alexander Vik si è rifiutato di commentare. Secondo il giornale svizzero, a seguito del suo investimento l’imprenditore ha perso non meno di 10 milioni di franchi svizzeri, ovvero più di 11 milioni di dollari.
È stato un duro colpo, certo, ma il temperamento di Alexander Vik e il suo istinto, che alcuni media non hanno esitato a definire come “fiuto“, hanno sempre salvato l’uomo d’affari. Quali altre opportunità potrà cogliere il residente monegasco in futuro? Staremo a vedere!