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Ken Bates: dalle case popolari di Londra alla soleggiata Monaco, il destino singolare dell’enfant terrible del calcio inglese

Ken Bates
Ken Bates © DR

Ken Bates, l’uomo dietro la rinascita del Chelsea (prima di vendere la squadra a Roman Abramovitch), si gode un tranquillo riposo nel Principato. Una calma relativa, tuttavia, visto che, quando si tratta di elargire commenti positivi e negativi ai suoi successori alla guida del calcio britannico, l’imprenditore ritrova presto la verve che lo ha reso famoso.

Qualsiasi giornalista, appassionato di calcio o osservatore della vita monegasca che voglia incontrare Ken Bates, dovrà tenere gli occhi puntati sul Café de Paris. È infatti sulla terrazza di questo elegante locale in stile Belle Epoque che l’uomo d’affari e residente monegasco ama passare il suo tempo libero, al suo tavolo personale. È qui che rilascia le sue rare interviste, sempre in presenza della moglie Suzannah, e si dedica alla sua attività preferita: maltrattare chiunque lo circondi.

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I giornalisti, a cui fa quasi sempre sostenere il conto salato di un pasto in sua compagnia; i camerieri, che si diverte a stuzzicare, per poi ricoprirli di generose mance; e, naturalmente, i suoi successori alla guida del calcio inglese, che vengono vessati non appena l’ex boss del Chelsea apre bocca. Insomma, il Café de Paris è il suo “ufficio”, come afferma più volte Ken Bates nella sua intervista all’Independent.

Alla veneranda età di 92 anni, l’uomo non ha perso neanche un pizzico della sua leggendaria loquacità. Né della sua straordinaria capacità di assegnare punti positivi e negativi a chi, secondo lui, se li merita. Famoso per il suo carattere burbero e difficile da avvicinare, Ken Bates riesce a cambiare completamente in un secondo, regalando a chi lo ascolta un’infinità di dettagli sulla vita frenetica che lo ha portato dai sobborghi operai di Londra al sole di Monaco, passando per alcuni dei campi più leggendari del calcio britannico.

Oldham, Wigan, Chelsea, Leeds; Stamford Bridge, Wembley; Kerry Dixon, David Speedie, Pat Nevin, Nigel Spackman, Gianfranco Zola – il suo giocatore preferito -, Roberto Di Matteo, Marcel Desailly; Matthew Harding, Roman Abramovitch… sono alcuni dei club, degli stadi, dei giocatori, degli allenatori e dei dirigenti del calcio inglese che devono proprio a lui gran parte della loro carriera, fama o fortuna.

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Un self-made man che ha sempre vissuto secondo le proprie regole

Eppure, nulla sembrava predestinare il giovane Kenneth William Bates ad andare a braccetto un giorno con i più grandi. Nato nel 1931 a Ealing, un quartiere a ovest della capitale britannica, il piccolo Bates viene cresciuto dai nonni che vivevano in una casa popolare: la madre muore poco dopo la sua nascita e il padre scompare nel nulla.

È impossibile, anche per gli intervistatori più esperti, estrarre da Bates ulteriori informazioni su questo argomento, che evidentemente è ancora una ferita aperta dopo quasi un secolo. Nato con un piede storto, il ragazzo subisce una decina di operazioni. La cosa comunque non gli impedisce di correre su qualsiasi campo da calcio trovi per giocare con i suoi amici. Sebbene abbia un certo talento, il giovane Bates non ha la stoffa per diventare un giocatore professionista. Nessun problema. Decide di mettersi in proprio e fa la sua fortuna nel settore delle cave, del calcestruzzo preconfezionato e dell’allevamento di bestiame.

Dopo alcune disavventure imprenditoriali nelle Isole Vergini Britanniche, Ken Bates torna al calcio, il suo primo amore, e non lo lascia più.

Nel 1965, l’uomo d’affari acquista l’Oldham Athletic, che gestisce per cinque anni. Nel 1980, insieme al socio Freddie Pye, acquista il Wigan Athletic, di cui diventa il vicepresidente. Grazie al suo patrimonio personale è in grado di assicurare al vicino club di Manchester le garanzie bancarie che permettono al suo manager, Larry Lloyd, di reclutare una serie di giocatori di alto profilo, tra cui Eamonn O’Keefe.

Sotto la sua guida, nel maggio 1982 il Wigan sale nella terza divisione inglese. È un semplice riscaldamento per Ken Bates che, nello stesso anno, ha l’intuizione che avrebbe cambiato la sua vita e il destino del calcio d’oltremanica: acquistare il Chelsea, un club che ristagnava nella seconda divisione della Football League e che stava affondando sotto il peso dei suoi debiti. Un vero colpo di genio.

L’artefice del ritorno del Chelsea in Premier League

1 sterlina. È quanto Ken Bates ha pagato per il Chelsea Football Club all’inizio degli anni Ottanta. All’epoca, il club londinese era in rovina, lo stadio di casa, lo Stamford Bridge, era quasi fatiscente, e la retrocessione in terza divisione rappresentava una seria minaccia per i giocatori. La catastrofe fu scampata per un pelo all’ultima giornata della stagione 1982-1983.

Così, sotto la guida di Bates, il club inizia la sua metamorfosi, una vera e propria resurrezione. Il nuovo capo si è fatto carico di un’impressionante quantità di debiti, permettendo al manager John Neal di acquistare giocatori come Kerry Dixon, Pat Nevin, Mickey Thomas, Nigel Spackman, David Speedie ed Eddie Niedzwiecki.

I risultati non tardano ad arrivare. La stagione successiva all’acquisto, il Chelsea sale in Premier League, l’equivalente della serie A italiana, un livello che il club lascerà solo una volta nei diciannove anni successivi.

Il Chelsea è finalmente tornato al successo che aveva negli anni Sessanta. Con Ken Bates al timone, si afferma come una delle migliori squadre del campionato inglese, concludendo sette stagioni tra i primi sei club della Premier League.

È stato anche grazie a Bates se la squadra ha vinto diversi trofei importanti: la Coppa delle Coppe, la Coppa di Lega, la FA Cup – due volte – e la Supercoppa UEFA (nel 1998). Bates ricorda bene quest’ultima: “Siamo stati campioni d’Europa quando, sedici anni prima, eravamo in bancarotta e non potevamo pagare gli stipendi ai giocatori. (…) Quella notte fu particolarmente bella”, ha dichiarato al Telegraph nel 2021.

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L’apporto che Ken Bates ha dato al Chelsea è anche legato indissolubilmente all’impegno dell’imprenditore nel garantire la sopravvivenza dello stadio di Stamford Bridge. Un nome mitico, luogo di nascita del Chelsea, la cui proprietà, negli anni Ottanta, apparteneva agli immobiliaristi.

Dopo una lunga e feroce battaglia contro questi ultimi, Bates è riuscito a trasferire l’intera proprietà al Chelsea Pitch Owners, una struttura ad hoc creata con i tifosi del club. Da quel momento in poi saranno proprietari sia del contratto di locazione, che del nome del club e avranno il diritto di porre il veto su qualsiasi spostamento del sito.

È un modo per dare potere ai tifosi, una filosofia che Ken Bates abbraccia ancora decenni dopo, come ha dichiarato al Daily Mail nel 2022: grazie agli importanti lavori di ristrutturazione effettuati sotto la sua presidenza, “Stamford Bridge è probabilmente il campo più prezioso di Londra. Ma appartiene al club. È la mia eredità”.

Un grande uomo del calcio inglese

Nel 2003, quando diventa il presidente di maggior successo del Chelsea, Bates vende il club, che aveva acquistato per la cifra simbolica di 1 sterlina, al miliardario russo Roman Abramovitch per 140 milioni di sterline, con un profitto di ben 17 milioni.

Bates rimane presidente del club fino al 2004, quando si dimette. L’anno successivo acquista una quota del 50% del Leeds United. La storia sembra ripetersi: retrocessa dalla Premier League e in piena crisi finanziaria, la squadra è in ginocchio.

Ma perché imbarcarsi di nuovo in una simile avventura? Perché il Leeds, come Ken disse a sua moglie, era “un club troppo grande per fallire”. Too big to fail, per dirla in inglese. Tuttavia, il suo periodo alla guida del club è, ancora una volta, turbolento: con 35 milioni di sterline di debiti e in amministrazione controllata, il Leeds retrocede inesorabilmente in terza divisione. È qui che Bates inizia a fare piazza pulita di una serie di allenatori, mentre i tifosi iniziano a manifestare per chiedere le sue dimissioni. L’imprenditore finirà per vendere la squadra a un fondo di investimento nel 2012.

Ormai ottantenne, l’uomo d’affari ha alle spalle una carriera più che ricca. Oltre alle sue imprese alla guida di club inglesi, i tifosi britannici gli devono una certa gratitudine per aver avuto un ruolo nello sviluppo, seppur caotico, dello stadio di Wembley e nella realizzazione della Premier League come la conoscono oggi. È stato proprio Bates a negoziare personalmente i diritti di trasmissione della Premier League inglese con il magnate dei media Rupert Murdoch – un accordo che ha ammesso essere stato concluso “alle spalle dell’establishment“. Molti tifosi inglesi, però, conservano un’immagine “dolce-amara” di Bates.

Una visione precisa del mondo del calcio

Un’opinione che però l’interessato non sembra condividere, visto che afferma che “Il 99% delle lettere dei fan e delle e-mail che ricevo sono di sostegno. È meglio di Saddam Hussein – e lui era un esperto di numeri”. In generale, se sembra difficile all’inizio far parlare Bates, sembra altrettanto complicato fermarne la logorrea una volta partita.

Bates ha un’opinione su tutto, ed è determinato a condividerla. L’americanizzazione del calcio? “Per loro è solo un investimento. Non si guadagna nulla, si acquista, e penso che sia vergognoso. Non è un bel gioco”. Il Libro Bianco pubblicato dai parlamentari britannici sulla governance del calcio? “Un mucchio di spazzatura”. Roman Abramovitch? “È impazzito”. Le celebrità che chiedono biglietti gratis? “Il peggior tipo di ladro” – anche Tony Blair? Sì, “gli ho detto di andare a farsi fo**ere”. Siamo stati avvertiti!

Ormai ci è chiaro, il clima mediterraneo di Monte Carlo non è servito ad ammorbidire il carattere di questo burbero londinese. La sua dolcezza la riserva alla moglie Suzannah, che sta scrivendo una biografia del marito imprenditore, e ai suoi cinque figli.

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Determinato a sfruttare al massimo ogni giorno che gli resta sotto il sole di Monaco, dove vive dalla vendita del Chelsea F.C., Ken Bates è forse uno degli ultimi testimoni di una certa concezione del calcio, di una certa epoca in cui lo sport era ancora più legato alle persone che ai soldi e anche di un certo stile, che può piacere o no. “Ho fatto molto nella vita”, dice, “mi sono fatto molti nemici, ma ho fatto ridere molti dei miei amici: questo sarà il mio epitaffio”. Sempre se non ci seppellirà tutti prima…